sabato 8 agosto 2015

Now and Beyond / Ora e oltre

Scientists inform us our ancestors are the stars
Small children run races, graze knees, gain scars
The universe is expanding and disintegrating
While bankers are sticky from making a killing

Outside the climate continues to go ga ga
While athletes draw on all their training to spar
Rich nations bleed poor without compunction
A Ponzi scheme swallows someone’s life pension

The ice caps are commencing their elegiac farewell
A homeless man beds down in his street hell
Soon existence itself will be downloadable
A married couple looks for a flat that’s mortgageable

There in the beyond cosmic inscrutable dramas unfold 
But down here the old pains rage and take hold
Even though the old planet might be about to implode
We still have to make bread, earn a crust, grow old.


Ora e oltre

Le stelle sono i nostri antenati dicono gli scienziati
I bambini corrono, si sbucciano le ginocchia e di cicatrici son segnati
L’universo continua ad espandersi  e si lessa
Mentre i banchieri non demordono e continuano a farti fessa  

Fuori il clima continua ad impazzire
Mentre gli atleti si sfiniscono in allenamenti per non fallire
Le nazioni ricche spremono quelle povere senza rimorsi
Lo schema Ponzi si mangia la pensione di una vita in pochi sorsi 

I ghiacci polari cominciano il loro elegiaco addio
E tu barbone ti appresti a dormire nel tuo malinconico asilo
Presto sarà possibile scaricare anche il proprio esistere 
Giovani sposi cercano casa e mutuo per il proprio vivere

Ma se nell’aldilà cosmico avvengono tragedie imperscrutabili 
quaggiù s’infuriano e s’incrostano i nostri vecchi mali
Anche se il vecchio pianeta è sul punto d’implodere
Dobbiamo pur sempre campare, guadagnarci il pane e piano invecchiare.


Baret Magarian
(traduzione di Sylvia Zanotto)

venerdì 31 luglio 2015

Una fortuna


L’esperto di denaro mi riceve. Un tappeto rosso con losanghe in rilievo mi conduce da lui. Il suo studio è arredato con cura, e io mi sento signora. Certo, anche lui me lo dice. Si accomodi signora. Per tutti sono solo Irina.
Allora che ne facciamo di questi soldi? Li vogliamo investire?
“Non è una fortuna” dice l’esperto di denaro, mentre interroga la macchina del pensiero calcolante. Conta. Sottrae. Divide.
“Non è una fortuna”. Ripete.
Difficile dirlo. Lei lo sa che cos’è la fortuna?
L’esperto di denaro aggiunge carte. E mille spiegazioni puntigliose. Sullo schermo del computer compaiono tutte le verità dei numeri. E’ tutto così certo e misurato.
Davvero, vorrei che me lo dicesse. Chissà.... la fortuna.
Ora questa si allarga fino a toccare la linea chiara della libertà.
Forse potrò comprarmi il tempo.
Certo bisogna rischiare, questo lo comprendo. Rinunciare a soddisfazioni immediate ed accudirli questi denari, farli crescere, come bambini, aspettare con pazienza.
Certo signora, ma come le ho detto, non è una fortuna.
Me lo ha già detto, sì.
Anche la macchina del pensiero è d’accordo, e disegna grafici colorati incomprensibili e rassicuranti.
Questa intelligenza artificiale può trasportare mille soldi dall’altra parte del globo, investirlo in una miniera di diamanti e stare a guardare. Vivere il brivido di una cellula di lievito, infinitesimale, che vede da dentro crescere le ricchezze in una notte, come l’impasto del pane. Prevedere ciò che avverrà domani, e magari ritardare una guerra. Questa macchina sa tutto e controlla tutto. Ma cosa avrebbe da dire sul mio lutto?
Mio figlio si è ammalato di freddo.
Sarebbe bastato un cappotto per salvarlo. Tra mille e nessuna fortune possibili. Ma noi non avevamo nulla e per nulla siamo partiti.
L’uomo si allontana dallo schermo scivolando sulle ruote a sfera della poltrona di pelle, rinuncia al linguaggio da esperto, e fa una voce paterna. Allora che ne facciamo di questi soldini? Una parola piccola come si direbbe ai bambini.
Lui ha in tasca un sapere che non mi somiglia. Ha in mente piccole vite, di formiche laboriose. Avanzi di cibo, brandelli di libertà tenuti a parte nel nodo dello scialle, o nello scomparto minuscolo del portafogli. 
Cosa ne sa di me? E dei miei pensieri miliardari.
Vorrei potergli spiegare, ma sento la mia voce che dondola come un acrobata sul filo. Ripeto mezze frasi indecise legate insieme da un balbettio.
Vorrei apparecchiare i miei pensieri, accompagnarli con parole importanti.
E l’uomo mi dice:
“Allora signora si decida”...
E’ così difficile. Quanti cappotti si possono comprare? Quante corone da regina? Quante calze di lana? Moltiplico. Divido. Ma quanto fa?
Anche la gente me lo chiede.
Allora sei venuta qui a cercar fortuna... Irina?

Elena Bellei

mercoledì 22 luglio 2015

I regni del Vuoto

Una mostra dedicata al vuoto e a tutto quello che ci sta intorno. Ad esempio: ricucire il taglio di Lucio Fontana. Potrebbe essere chiaramente il sogno segreto di ogni artista, ripercorrere a ritroso quel fantastico gesto di apertura sull'infinito, un po' come richiudere il vaso di Pandora. Un divertimento innanzitutto. Ma qui l'umorismo forse nega la Storia, e portare indietro le lancette dell'orologio, far volare all'indietro i fogli del calendario, lasciare i segni di una violenta chirurgia sul panno rosso, potrebbero essere operazioni meno allegre di quello che sembra. Potrebbero alludere ad una tragedia in corso, ipotesi al nero.


Pare a prima vista assai allegra anche una bella palla di polvere grigia collocata sopra una bianca base, come fosse una scultura classica, un busto eloquente, un ritratto. In effetti di ritratto si tratta: quello del nostro tempo che passa ed accumula scarti, elementi di sporcizia, polveri destinate a restare invisibili fino a quando non si cementano, solidificandosi in qualcosa da gettare, cancellare, rimuovere. In questa occasione la polvere trionfa in forma di piccolo monumento alle nostre illusioni di permanenza.


Un vano gesto anche quello di collocarsi nel vuoto della Storia dell'arte con tutta la propria ingombrante presenza di oggi, con la propria disperata agilità, facendo un salto dentro l'opera altrui. Bisogna retrocedere di qualche secolo, azionando un meccanismo di macchina del tempo che forse intende confermare l'impossibilità di stare a proprio agio dentro qualsiasi epoca. In altre declinazioni il vuoto abita mobili costruiti appositamente per contenerlo, teche in cui lo spazio si dispone ad accogliere il nulla.


Infine l'apparizione che mi ha colpito ed emozionato di più: le sculture sonore capaci di emanare rumori - irriconoscibili ma suggestivi – ed anche profumi. Strutture sospese al soffitto, elegantissime con i legni circolari e le trasparenze, con le piccole casse acustiche, con i cavi neri che le ancorano al pavimento. Molto eloquenti sul piano squisitamente visivo, ma al tempo stesso intime in modo sorprendente, stanno davanti a noi e sembrano confermare l'assenza di qualcosa che – lo sappiamo da sempre – ci mancherà ancora per tantissimo tempo. 

Stefano Loria (testo)
Carlo Zei (immagini) 

Mind the gap- Davide Allieri, Alexandros Papathanasiou, Luca Pozzi, Tamara Repetto- a cura di Gino Pisapia

Eduardo Secci Contemporary, via Maggio 51/r, Firenze

giovedì 16 luglio 2015

C’è posto sulla collina

Fammi mandare Laura, disse il direttore nel citofono. La biondina, quella nella postazione in terza fila. La segretaria riappese. Aveva capito. Il direttore si alzò e si stirò, riavviò i capelli con le mani e si sedette di nuovo. Bussarono alla porta. Avanti, fece. Entrò una biondina, in camicetta bianca e gonna nera, i capelli raccolti, aria timida. Molto carina. Entra bella, le disse. Entra pure. Siediti. La ragazza si sedette. Era visibilmente intimorita. Al direttore venne da leccarsi le labbra ma si trattenne. Ti ho chiamata per darti la busta paga, le disse. Quella rimase di sasso. Fece per dire qualcosa ma il direttore la anticipò. Ti stai chiedendo perché ti ho chiamata da me invece di fartela consegnare dalla segretaria, le chiese. Il sorriso scomparve dal volto del direttore. Attore consumato. Il fatto è che c’è un problema, purtroppo. La ragazza arrossì lievemente. Io... accennò. Ho rilevato un calo del tuo rendimento, la zittì il direttore. Aprì una cartella che teneva sul banco. Hai chiuso molti meno contratti questo mese. Un calo… scorse un foglio. Un calo di quasi il quindici per cento. Del dodici, per la precisione. Sbaglio? Le chiese. La fissò per qualche secondo. Lei fece per dire qualcosa. Non sbaglio, disse il direttore tornando con lo sguardo sul foglio. È scritto qui, e picchiettò sul foglio con l’indice. Guardò di nuovo la ragazza. Hai chiesto un permesso di mezza giornata… per accompagnare tua madre dal dottore, vedo. O no? La ragazza annuì nervosa. Mia madre stava male... riuscì a dire.  Lei… La tua scrivania è sempre in disordine, mi ha detto la tua responsabile. Mi ha detto anche che vai in bagno molto più spesso di prima. E poi su, cos’è questa sciatteria nel vestire? I clienti lo sentono che non sei curata, anche se non ti vedono. Lo sai. La ragazza aveva gli occhi lucidi. Tesoro, non possiamo permettere che i tuoi problemi personali creino problemi sul lavoro. Noi siamo una squadra. Se un elemento si guasta si guasta tutta la squadra. E la squadra deve filare, noi siamo un treno super veloce, siamo un branco di squali no? Noi siamo i migliori sul mercato e perché siamo i migliori sul mercato? Perché… rispose la ragazza ma la frase le si troncò in gola. Deglutì. Perché chiudiamo più contratti degli altri! O no? Disse il direttore a voce alta. La ragazza aveva un accenno di lacrime. No, no, Lauretta bella, ora non mi scoppiare a piangere. Su. Non ti mando a casa. Non ancora. Perché io in te ci credo. Sei una dei miei migliori elementi. Ma qua non sono ammessi passi falsi. Là fuori è una giungla, lo sai. Sai anche che ci sono una cinquantina di ragazze in fila per prendere il primo posto che si libera. Il tuo, posto. Lo sai. Ma io ho deciso di darti una mano. Il direttore tonò a sorridere, di punto in bianco. Io non ti mando via. Ti voglio motivare. E per motivarti ho deciso che questo mese ti trattengo lo stipendio. Va bene, tesoro? La ragazza aveva il rimmel sciolto dalle lacrime. Puoi andare, tesoro, le disse. Prenditi un caffè. E vai a rifarti il trucco. La ragazza annuì. Si alzò in piedi. Grazie, mormorò, e fece per uscire. Laura, Cristo di un Dio, ma dove cazzo vai, disse il direttore. Torna qua. Siediti su. Le passò un fazzoletto fine preso da una scatola. Asciugati le lacrime, le disse. Ti ho appena detto che ti trattengo lo stipendio e tu mi hai ringraziato. Ti rendi conto? La ragazza non sapeva più che dire. Non che fino ad allora avesse detto molto. Tu mi avresti dovuto sbranare, bella! Mi avresti dovuto minacciare di bruciarmi la macchina, sparare ai miei figli, andare dai sindacati! Io ti voglio aggressiva! AG-GRES-SI-VA, capisci? La ragazza lo guardava. Aveva occhi enormi per le lacrime e lo stupore.  Come fai a mangiare vivi i clienti se ti fai mettere i piedi in testa così, bella mia? Devi combattere. Lottare. LOT-TA-RE, capito? La ragazza annuì. Dimmi che hai capito, le disse. Ho capito, rispose lei, con la voce più ferma possibile. Il capo le sorrise. Le porse la busta. Ora puoi andare. Sul serio. La ragazza accennò un sorriso, prese la busta e uscì. Il capo si stirò e tirò fuori una canna già rollata dal primo cassetto. Mise su “Working Class Hero” di John Lennon e distese le gambe sulla scrivania. Appiccò la canna. Gli piaceva quella canzone. Specie quando diceva “There's room at the top I'm telling you still/but first you must learn how to smile as you kill/if you want to be like the folks on the hill”. Anche Lauretta gli piaceva. Se la sarebbe fatta entro il mese seguente. Un’altra tacca sul calcio della pistola. Sputò il fumo della canna verso il condizionatore. La ventola se lo mangiò. 

Filippo Rigli

venerdì 10 luglio 2015

Downtown LA

Boxer
During any 15-round match, I spend at least a minute or two unconscious. A hit to the head sends you home, to bed. Then you wake up and you’re under the hot lights and there’s a guy who wants to take your head off. That’s what all the people want to see, and they say so, nice and loud. Believe me, it wakes you up. What I like most about the gym is, it’s quiet. Nobody talks loud here.

Pugile
Durante qualsiasi incontro di quindici riprese, sono sicuro di passare un minimo di due minuti completamente KO. I ganci alla testa ti spediscono a casa, a letto. Poi ti svegli e sei sotto le luci roventi e c’è uno che ti vuole decapitare. La gente vuole vedere questo e lo dicono, chiaro, tondo e forte. Credimi, ti sveglia. Ciò che mi piace della palestra è il silenzio. Qui nessuno urla.

Flower Lady
Flowers are my children and I sell them. People buy flowers to make their houses more happy, or else they buy them to give a sick friend. Children get flowers so they can learn to keep a life alive, and be responsible. When nobody buys flowers, my children die, but I can’t be too sad. That’s business.

Fioraia
I fiori sono i miei bambini e li vendo. La gente compra fiori per rallegrare le loro case, o per regalarli agli amici malati. Danno fiori ai ragazzi per insegnarli a mantenere viva una vita, a essere responsabili. Quando nessuno compra fiori, alcuni miei bambini muoiono, ma non posso essere troppo triste. Sono solo affari.

Dry Cleaner
After so many years, I think I should know what clean means, but I don’t. Maybe because the fluids I breathe are too strong. That’s why I’m popular with my customers. My imagination must be clean, but I can’t get a picture of it any more. 

Tintoria
Dopo tanti anni, immagino che dovrei capire ciò che significa pulito, ma non è così. Forse perché i fluidi che utilizzo sono troppo forti. Così si creano clienti fedeli. La mia coscienza dev’essere molto pulita, ma non riesco più a farmene una immagine.

Barber
The first time I walked by Barber College, I thought it was funny. Like, hey here’s a college I could get into. And it wasn’t even as hard as I thought. You use the clippers like a paintbrush that erases. The comb tells the scissors where to cut, if you move your hands right. The main thing is to make the guy in the chair look the way he thinks he ought to look, which is better than when he walked in here.

Barbiere
La prima volta che passai L’Istituto per Parrucchieri mi venne da ridere. Ehi finalmente una scuola dove forse riuscirò a prendere bei voti. E non era nemmeno difficile come credevo. Si usa la macchinetta tosatrice come un pennello che cancella. Il pettine indica alle forbici dove devono tagliare, se sai muovere le mani. La cosa importante è fare in modo che il tizio sulla poltrona girevole abbia l’aspetto che crede dovrebbe avere, cioè meglio di com’era quando è entrato.

Marco Mazzei (immagini)
Matthew Licht (testo)

martedì 7 luglio 2015

Elementi di geometria sentimentale (volume due)

Stanza 251 è lieta di presentare una collaborazione con Zona B e Egg Visual Art, a cura di Sergio Tossi:


Elementi di geometria sentimentale (volume due)

Opening Mercoledì 8 Luglio 2015 ore 18,30

Esce dal perimetro nazionale questo secondo volume di “Elementi di Geometria Sentimentale” che si inaugura da EGG Visual Art mercoledì 8 luglio.

Lo fa in modo simbolico con i mondi, le città e le figure di Luca Matti, instancabile nel cercare nuove forme e supporti ai soggetti prediletti. E’ un’epifania occidentale che ci fa scivolare nella dimensione sogno (incubo?), apparizioni in black and white e sconfinamenti negli spazi altrui.

La fotografa tedesca Baerbel Reinhard si limiterà invece all’invasione pacifica e suggestiva di una sola parete, occupata senza abuso dal simulacro di un paesaggio e altri paesaggi inscatolati dentro. La geometria che si fa padrona inconsapevole nel gioco dei contenitori. Un’installazione tra le molte progettate dalla Reinhard, curiosa indagatrice della sovrapposizione.

Delicatissimi, quasi impalpabili, i lavori di Tomoko Sugahara (di stanza a Tokio, dov’è nata, ma con forti legami fiorentini, dove ha vissuto a lungo). Qui la matematica si lega al piccolo, impercettibile caos della pittura, materica quanto basta, leggera, fugace. Ogni quadro, un evento minimo, alla ricerca del silenzio perfetto.

Infine Carlo Zei, fotografo puro, tecnico, ispirato. Gli scatti selezionati per la mostra sono puro estratto di geometria sentimentale. Dove, come la grande madre fotografia insegna, gli spazi sono tagliati dalla luce e dal gioco dell’inquadratura. Svelano angoli imprevedibili, tagli che noi umani solitamente sorvoliamo e trascuriamo.

Come nel capitolo precedente, gli artisti proposti sono collaboratori di Stanza 251, magazine on line di letteratura e immagini, ed a completare la serata provvederanno le letture poetiche di Stefano Loria (esemplificando così il suo eclettismo culturale).



Immagini dell'allestimento:

Luca Matti

Enrico Bertelli, Sergio Tossi, Tomoko Sugahara

Enrico Bertelli


venerdì 3 luglio 2015

Cave Canem

Evocazione

Immagine di Annamaria e Angela Travaglini per la mostra "Cave Canem" di Barga (febbraio 2010)

martedì 30 giugno 2015

Dylan Thomas / miraggi


Hai presente quel libro di racconti che avevo sempre voluto leggere e non ho mai letto, con quel titolo intrigantissimo che rimanda alla gioventù dell’artista quando è ancora un cucciolo, vivace, illuso, capace di percepire la realtà incantata, come se l’artista alla fine anche lui venisse catturato nella corsa del tempo e invecchiando acquistasse un’altra identità, diventando una persona differente, sottoposto ad una erosione, ad una trasformazione, quindi indebolito, fragile, insomma, questa idea che la giovinezza sia una protezione fiammeggiante ma solo temporanea mi aveva incuriosito già a partire dal titolo. Il nome dell’autore poi aggiunge una attrazione irresistibile, è inevitabile associarlo al maggiore cantautore americano del secolo scorso, Zimmerman, che pare abbia deciso di mutare cognome proprio in omaggio allo scrittore gallese, così il nome di questo scrittore è diventato incredibilmente familiare anche per milioni di appassionati di musica che non lo hanno mai letto e forse neppure sanno che è esistito. Un travaso da nome a cognome, da un continente all’altro, da letteratura a canzone, per costruire su questo scarto un’identità falsa destinata a grandissima fama.


Ancora sul titolo: ci sarebbe da riconoscere il riferimento a quell’altro scrittore, l’irlandese modernista che qualche decennio prima aveva riscritto in prosa il viaggio di Ulisse dal proprio punto di vista. Solo che l’irlandese si era concentrato sul giovane uomo, in un modo serio che potrebbe corrispondere ad un certo pessimismo di fondo, mentre il gallese decise di occuparsi del giovane cane, forse per un certo ottimismo di fondo. Non so cosa mi abbia trattenuto dal leggere questo libro durante tutti gli anni in cui ho desiderato di farlo, immaginando che custodisse segreti che avrebbero cambiato per sempre il mio giudizio sul mondo: descrizioni di esperienze, personaggi, vibrazioni dell’età calate dentro una calda cornice di fiducia verso il futuro. Per non ferire una attesa tanto elettrizzante dubito che lo leggerò mai, anche se adesso il volumetto fa bella mostra di sé sopra un ripiano della mia libreria riservato ai libri più speciali, quelli che emanano una forza magnetica prepotente anche senza bisogno di leggerli. Basta guardare le copertine, soppesarli nella mano, sfogliare le pagine senza afferrare nessun significato, provando ad indovinare il loro contenuto, lo stile di scrittura, le forme sviluppate. Oggetti meravigliosi, impenetrabili. 


Stefano Loria (testo e immagini)

sabato 27 giugno 2015

Three Paintings

Visible From Space, acrylic on panel, 24 X 36in, 2015 
Back to Square One, acrylic on panel, 30 X 30in, 2015

Impending Doom, acrylic on panel, 48 X 30in, 2014 
Glen Rubsamen