martedì 7 maggio 2013

Radiologia


13 giugno, ore 9:30: controllo radiografico

“L’ho messo nella borsa…”
“Guarda di metterlo a posto se no non lo ritrovi…”
“…nella borsa…”
“Si ma poi lo ritrovi?”
“Se ti ho detto che l’ho messo nella borsa…”
“Nella borsa?”
Lui, in piedi, pensa al suo malanno e passeggia ininterrottamente pesticciando il linoleum. Bofonchia emettendo suoni indistinti.
Lei, seduta, pensa ai casi suoi e forse si rallegra che tra un po’ se lo leverà di torno. Comincia a brontolarlo senza troppa convinzione:
“Ora te ‘un cominciare come al solito!”
Poi cambia improvvisamente pensiero e si affida al tempo o forse alla protezione della divinità che lo presiede.
“Meno male che il tempo regge…”
I due anziani coniugi continuano il dialogo serrato che dall'esterno potrebbe sembrare un alterco ma che sicuramente è il loro modo di relazionare. Un battibecco che dura da quarant’anni.
Ho sceso le scale della radiologia collocata proprio nel sotterraneo sotto il reparto chirurgico dove lunedì mi affetteranno. Ho trovato già una piccola folla organizzata per gruppi di affini e/o parenti. Alcuni li ho già incontrati nelle varie tappe del safari diagnostico che ci impegnerà tutta la mattinata, altri si sono aggiunti . Una faccia nuova si distingue tra tutti: in mezzo al corridoio, una anziana signora piccolina - una signorina? – sta conversando con le persone sedute davanti a lei. Ben piazzata sulle corte gambette allargate, a mo' di marinaio sulla coffa, ha un tono da stazza ben più ingombrante e l'energia di un'età molto minore. Sta tuonando senza sordina né silenziatore e non interpone pause. Mi siedo in mezzo ad altri che già si guardano allibiti e scocciati. Dopo un po’ la mia vicina di sedia si sente in dovere di darmi spiegazioni e, sussurrandomi nell’orecchio, mi regala gratuitamente un bollettino aggiornato:
“Ah… quando comincia…fa sempre così” 
“Perché, la conosce?”
“Eh sì, che vuole: ormai ci si incontra sempre ai controlli. Ma poi! Sta parlando con una suora di clausura.: cosa gliene importerà! Lei sta in convento, lontana dal mondo. Entra qui e trova questa…”
“Non saprà nemmeno di stare in compagnia con una rompipalle, data la sua mancanza di consuetudine col mondo esterno ed esteriore.”
E la donnetta continua il racconto: protagonista la sua bicicletta di cui ricorda tre episodi collegati tra loro così bene da parere un'unica storia . Per un attimo mi sorprendo in ammirazione di fronte alla sua abilità affabulatoria. Nell’ordine sciorina: l’episodio della bici rubata e le sue ambasce sull’ardito dilemma che faccio, la ricompro? Ma sul finire si intuisce che la bici non era mai stata rubata e il dilemma era solo ipotetico. Un pour parler.
Il secondo episodio in bicicletta è di vita vissuta invernale con la partecipazione straordinaria, e non amichevole, di una lastra di ghiaccio. L’argomento fa sperare in una punizione catartica dell'inesauribile soggetto ma la signora si dilunga e quindi, per stanchezza, perdo la parte più interessante cioè quella degli esiti ortopedici. Che vuoi: anch’io ad un certo punto attivo l’istinto di conservazione, per evitare ingorgo cerebrale.
Ma il migliore è il terzo racconto sulle sue mancanze di lucidità e presenza di giramenti di testa.
Coinvolgo la mia vicina di sedia.
“Ci credo che le gira la testa! A forza di parlare avrà avuto una carenza di ossigeno, un’ipossia cerebrale”
La mia compagna di sedile sorride e aggiunge benzina al fuoco:
“Ma lo sa che ha litigato persino con l’infermiera. Eh, ma quando si parla così tanto!”
Faccio un distinguo, excusatio non petita, per innegabile coda di paglia.
“Sa, anch’io parlo molto anche se con un ritmo più contenuto. Ma senza pause… così… io l’ammiro: è una vera professionista”
Sul finire del mio commento chiamano la petulante nell’ambulatorio. Sarà stata una chiacchierona fastidiosa per argomenti, tono e decibel, però, per un attimo, aveva distolto tutti dai propri affanni.
Arriva una donna piuttosto giovane, ha gli occhi rossi e un marito corpulento, inaspettatamente tenero, che l’abbraccia forte e la consola sussurrandole nell’orecchio.
Sul corridoio, e nei nostri cuori, cala di nuovo l’oppressione del silenzio.

Maria Cristina Vezzosi

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